Lunedì, 30 Dicembre 2019 23:44

Recensione a Misteri pagani, mistero cristiano

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Pubblichiamo la recensione di Giovanni Casadio al volume di Ezio Albrile, «Misteri pagani, mistero cristiano» (Mimesis, 2019), uscito per la collana Spiritualità senza dio? diretta da Luigi Berzano.

Recensione di Giovanni Casadio


Ezio Albrile, Misteri pagani, mistero cristiano, MIMESIS, Milano-Udine 2019, pp. 213
Spiritualità senza Dio? Collana diretta da Luigi Berzano, N. 17.

 

Ezio Albrile è uno storico e antropologo delle religioni che si è occupato in particolare dei rapporti interattivi fra cultura ellenistica e religioni dell’Iran antico (preislamico). Numerosi sono i suoi contributi riguardanti le differenti espressioni del dualismo antico (orfismo, gnosticismo ecc.). Si è occupato in particolare delle interazioni tra mondo orientale e fenomeni “misterici” come lo gnosticismo e l’ermetismo. Ha curato e tradotto diverse opere tra cui il De radiis di al-Kindī (1994) e il Commentario al libro di Zosimo di Olimpiodoro (2007), e pubblicato diverse opere di saggistica, tra cui Alchimia. Ermete e la ricerca della vita eterna (2017), L’illusione infinita. Vie gnostiche di salvezza (2017), Un Karma Occidentale? (2017), Almandal. Trattato ermetico di magia salomonica, in coll. con E. Tortelli (2018), Il labirinto di Ermete (2018).

I culti misterici sono le prime vere religioni di salvezza individuale ad affacciarsi sulla scena del mondo antico, preconizzando l’ascesa del cristianesimo, che di fatto può dirsi una loro propaggine; si diffondono rapidamente, a partire dall’Ellenismo, in tutta l’area mediterranea. Compongono il variegato panorama delle divinità misteriche molte rappresentative personalità delle culture religiose d’Oriente, tutte naturalmente rivisitate alla luce della nuova epoca. La matrice ellenica dei riti di iniziazione ammanta di sé e fornisce significati nuovi a divinità antichissime come Iside o del tutto recenti come Serapide, creazione dei primi Tolemei. Affascinato da tali suggestioni, il chimerico discepolo di san Paolo, il cosiddetto Pseudo-Dionigi Areopagita, confezionerà un adattamento cristiano della disciplina misterica invocando la “Tenebra più che luminosa del Silenzio” entro la quale Dio rivela se stesso, negandosi. Il lessico è affine, e Dionigi invita chi voglia darsi alle “contemplazioni mistiche” (mystika theamata) a oscurare i propri sensi e a rimuovere ogni pensiero razionale dalla mente, chiudendosi nel silenzio di un’ignoranza assoluta. È la katharsis, la “purificazione” misterica: si deve abbandonare tutto ciò che è impuro, ma anche ciò che è puro; ogni cosa, santità e maculazione, appagamento e dannazione. Ci si deve liberare gradualmente dall’influenza di tutto ciò che può essere conosciuto.

Dopo una sintesi incisiva sulla gnosi antica (L’illusione infinita. Vie gnostiche di salvezza, 2017), Ezio Albrile ci dona una sintesi non meno significativa e brillante sulla mistica antica e tardo-antica. Per quanto il titolo richiami il massiccio Pagans and Christians di Robin Lane Fox (1986; esiste anche una traduzione italiana del 2006 di ben 874 pagine), col pedante sottotitolo "Religion and the Religious Life from the Second to the Fourth Century A.D., When the Gods of Olympus Lost Their Dominion and Christianity, with the Conversion of Constantine, Triumphed in the Mediterranean", siamo di fronte a un'opera totalmente diversa, e non solo per le dimensioni. Più reader friendly. Mentre il libro di Lane Fox era un'opera di storia (religiosa) antica, il libro di Albrile è un'opera di storia delle religioni, come quelle di Franz Cumont, di Robert Turcan, di Walter Burkert. È un'opera - in un campo tanto dissodato e concimato – dotata di una sua prospettiva originale, sia dal punto di vista della presentazione formale, sia da quello dell'intenzione ermeneutica.

Invece di offrire un sommario dei principali temi svolti nel libro, che sicuramente non segue la corrente dominante in questi studi, come si può vedere nelle righe sottolineate sopra, nel seguito presentiamo dieci tratti che caratterizzano in maniera originale il testo di Albrile, differenziandolo da analoghi tentativi di offrire una sintesi della spiritualità mediterranea antica in chiave interculturale.

Cominciamo elencando alcune caratteristiche pertinenti al dettato e alla qualità della scrittura, caratteristiche che si credono erroneamente estranee al valore di un'opera scientifica e invece non lo sono affatto: se, come affermò Georges-Louis Leclerc de Buffon, “Le style est l'homme même”, la forma è decisiva per stabilire lo spessore dei contenuti e il valore di un autore. 1. Tutto il testo è contraddistinto da nitidezza di scrittura: periodi brevi ed incisivi, chiarezza delle formulazioni che non indulgono mai ai gerghi postmoderni invalsi in molta storiografia corrente o alle ampollosità di molta scrittura accademica soprattutto italiana o tedesca. 2. Uso costante e corretto dei diacritici nella trascrizione dei termini greci (evitando gli insulsi accenti che tanto piacciono ai novizi della lingua greca. 3. Precisione dei riferimenti bibliografici, sia delle fonti, sia della letteratura secondaria (si forniscono sempre i numeri delle pagine, dalla prima all'ultima, il che prova che si tratta di una citazione di prima mano), sempre sobria, senza dossografie immense e superflue, utili solo ad aumentare il numero delle pagine, sopperendo alla carenza di idee. 4. La bibliografia non è per nulla scontata. Quanti tra i nostri specialisti hanno infatti letto o anche solo sentito parlare dei preziosi Aigyptiaka di G. Capovilla, dell'Egitto magico-religioso di Boris de Rachewiltz, o dei saggi sulle concezioni dell'anima dello storico delle religioni svizzero (a me assai caro anche per un lucido libretto in cui si interroga sulla definizione della religione) H. P. Hasenfratz? E quanti ancora leggono e citano (a parte i bilanci critico-bibliografici) classici della storiografia in lingua tedesca come D. Chwolsohn, A. Abt, W. Kroll, F. Boll, R. Eisler, W. Gundel, e lo stesso R. Reitzenstein?

Veniamo ora ai sei tratti di carattere contenutistico che rivelano la particolare prospettiva dell'autore. 1. Uso coerente e costante di documenti della magia, dell'alchimia e dell'astrologia in concomitanza con quelli più manifestamente religiosi. 2. Messa in gioco di testimonianze seriori rispetto alla documentazione classica sui misteri, dall'ermetismo allo gnosticismo al neoplatonismo, fino alle sue propaggini nel mondo medievale, moderno e contemporaneo (per alcuni casi emblematici si veda alle pp. 102, 110, 118 e 175). 3. Attenzione alle somiglianze, anche le più imprevedibili (cfr. pp. 13 e 82), non meno che alle differenze, come è fin troppo corrente dai tempi della demolizione dei dogmi della Religionsgeschichtliche Schule, in un quadro di comparativismo sia genealogico (passim) che analogico (cfr. p. 73). 4. Attenzione (ma non esclusiva o preferenziale, come in certi approcci influenzati dalla sociologia francese, tedesca e nordamericana) agli aspetti socioeconomici (mercantili: cfr. pp. 88-89). 5. Significativa accentuazione dell'apporto egizio alla costruzione della escatologia mistica (cfr. pp. 163, 165, 173 e passim). 6. La teologia e la prassi cristiana, fino alle sue manifestazioni folkloriche attuali (cfr. p. 177), confluiscono nel quadro della mistica pagana, ma al tempo stesso – soprattutto nella “Introduzione” e nell' “Epilogo” – con rapide e incisive pennellate si delineano le differenze tra il mistero cristiano e i misteri pagani, tra i diversi tipi di salvezza e di rinascita (cfr. p. 13). A un lettore senza pregiudizi vuoi teologici vuoi storicistici (si leggano gli sferzanti giudizi sugli storici delle religioni che non sanno cosa comparare, p. 16, e sono privi di senso teologico, p. 178) la religiosità mistica mediterranea antica e tardo-antica appare comunque come un tessuto continuo e privo di dislivelli e rotture drammatiche.

Per concludere ci piace introdurre una lunga citazione da un libro uscito sempre quest'anno, nella stessa collana e a firma dello stesso direttore, un sociologo con un forte senso delle realtà storiche e teologiche. Luigi Berzano, in Quarta secolarizzazione. Autonomia degli stili (nr. 15, MIMESIS, Milano-Udine 2019, pp. 54-55): “Il Cristianesimo introdusse una nuova dottrina della salvezza, della vita buona. Temi già presenti nella filosofia greca, ma che nel Cristianesimo acquistarono un fascino nuovo, tanto da spiegare la loro sì lunga durata. Se il divino degli stoici era un principio anonimo e si confondeva con l'ordine e l'armonia dell'universo, quello cristiano si occupa di ogni creatura e promette l'immortalità. Cambia così anche l'idea di amore e di attaccamento alle creature. Cambiano soprattutto i concetti di salute e di salvezza – che oggi chiamiamo spiritualità – nel loro diventare esperienza personale, nella forma e nei contenuti”. Amore (agape), salvezza, persona, creatura: attorno a questi concetti incarnati ruota l'asse del mistero cristiano.

GC

 

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