Mercoledì, 22 Giugno 2005 20:15

Personaggi della DC: E. Colombo, B. Zaccagnini. Appunti, ricordi.

Scritto da  Gerardo

Il mondo democristiano presenta un paesaggio variegato e molteplice.
Al suo interno, accanto ad alcuni leaders, i cavalli di razza, come li chiamava l’On. Donat Cattin, si dà un pullulare di personalità di statura “medio bassa” che però assolveranno a funzioni anche di primaria grandezza.
In particolar modo si pensi a quel mondo dei dorotei e al loro interno si pensi oltre che a Segni, a Emilio Colombo.
E a Zaccagnini.
Che pensare di Colombo? Lo abbiamo chiesto al nostro interlocutore Corrado Corghi.

Corghi
: La mia permanenza a Roma negli anni in cui ero presidente dei Maestri di Azione Cattolica, mi permise di conoscere Emilio Colombo allora vice presidente della GIAC, Gioventù Italiana di Azione Cattolica e già costituente eletto nella sua terra lucana. Era il più giovane dell’Assemblea. Nelle riunioni di presidenza della A.C. Colombo interveniva raramente lasciando a Carlo Carretto tutta la responsabilità. Ogni giovedì sera Gedda, a quel tempo presidente centrale dell’Unione Uomini, riuniva il gruppo dirigenziale della GIAC ed esponenti del CENTRO SPORTIVO Italiano e di altre opere a pregare sul sagrato di Piazza S. Pietro in unione col “Cristo del Getzemani”. Era un obbligo per coloro che erano già membri della Società operaia, come è noto, fondata dal Gedda nel 1942. Fra questi si pensi a Carlo Carretto, a Saltarello, a Righini, a Saletti e a Colombo. Era utile la presenza anche per chi aspirava essere ammesso all’apprendistato.

All’interno dei dirigenti di Azione Cattolica in che posizione stava Colombo rispetto a Gedda?

Corghi
: A questo proposito tengo solo a ricordare che quando nel febbraio 1948 Gedda informò il Consiglio di Presidenza dell’A.C. della organizzazione in atto dei Comitati Civici con la benedizione di Pio XII, Colombo si trovò a fianco di Gedda, mentre tre presidenti centrali Scaglia, Moro e Corghi, precisamente presidenti dei Laureati, degli universitari e dei maestri di AC, dichiararono la propria contrarietà all’iniziativa geddiana perché avrebbe posto l’AC e le opere del laicato cattolico all’interno di un piano politico e avrebbe creato gravi problemi all’azione unitaria della DC nella sua campagna elettorale.

Quale fu la tua posizione nei riguardi allora di Gedda?

Corghi
: Il mio non consenso a far parte della Società Operaia dopo una breve esperienza di diretta conoscenza e la mia successiva convinta presa di distanza risentiva delle posizioni di Lazzati. La successiva impossibilità di fare chiarezza fra il mio movimento e quello di categoria dell’AIMC diretto da Maria Badaloni, mi condusse alle dimissioni nel giugno dello stesso 1948. Ricordo che Emilio Colombo mi accompagnò alla stazione, dopo le consegne al mio successore.

Quali i tuoi rapporti con Colombo?

Corghi
: Ritrovai Colombo nel 1950 quando iniziai ad occuparmi della DC di Reggio Emilia. Ricordo sempre un suo applaudito discorso di risveglio meridionale al Congresso DC di Napoli nel 1954, quando ci fu una riservata operazione al vertice elettorale per assicurare la posizione di leader a De Gasperi. In tale occasione Colombo diverrà il terzo eletto immediatamente dopo De Gasperi e Scelba.
Al Congresso di Trento, due anni dopo, Colombo riuscirà al decimo posto nel Consiglio Nazionale dopo Andreotti. Sarà sotto segretario anche nel governo Pella e poi con i Governi di Fanfani e di Scelba. Nel 1958 diventa ministro dell’Agricoltura con il presidente Zoli. Lunga è la lista dei suoi incarichi governativi. Quando divenne uno dei capi della corrente Dorotea, con la fine di “Iniziativa democratica” (1959), io mi alleai con il neo-volontarismo di Fanfani e con le minoranze di sinistra.
Quando il doroteismo si andò consolidando con Colombo su posizione forte nei governi, con Rumor alla segreteria della DC e con Segni al Quirinale, divennero costume politico le clientele che porteranno alla morte del partito. Ho scritto recentemente una lettera a Colombo dopo la sua nomina a senatore a vita ponendogli innanzi un mio personale traguardo: quando incalza l’età gli impegni di politica attiva dovrebbero cessare per far posto alla memoria storica per le nuove generazioni. Ma Emilio Colombo non mi ha risposto.

Gli vorresti far sapere qualcosa, tramite queste colonne?

Corghi
: Beh, gli auguro lunga vita ma anche auspico la fine del monarchico privilegio della nomina di senatori a vita, assicurando la totalità delle scelte elettorali ai cittadini.

E ora Benigno Zaccagnini, un leader della DC nel dramma del sequestro di Moro.
Fra i personaggi della DC ti vorrei chiedere qualche appunto su Zaccagnini. Nella tua qualità di segretario regionale della DC dell’Emilia Romagna hai avuto modo di avere rapporti con l’On. Zaccagnini, un faentino medico. Quali sono i ricordi che ti vengono spontanei, pensando a lui?

Corghi
: Non presumo tracciare un ritratto biografico. Ho avuto moltissime occasioni per intrattenermi con Zaccagnini.Vorrei ricordare in modo particolare che Zaccagnini, con una spiccata formazione religiosa, con profondi legami con l’Azione cattolica, fu antifascista e persona della Resistenza romagnola, militando nella Brigata Garibaldi formata in prevalenza da comunisti. Divenne presidente provinciale della Federazione Coltivatori. Nel 1954, a 42 anni entrò nel Consiglio nazionale della DC, assumendo poi il sottosegretariato al Ministero del lavoro nel secondo governo Fanfani. Accetterà dopo distinti ministeri. Fu un riformatore convinto, attento peraltro a non perdere i consensi elettorali. Quando avvenne la rottura della corrente di “Iniziativa democratica” di cui era uno dei leaders insieme a Salizzoni in Emilia Romagna, fu accanto ai dorotei ma con l’attenzione rivolta all’On. A. Moro. Quale ministro del governo Tambroni, febbraio-luglio 1960, non si dimise, come altri colleghi, di fronte ai voti determinanti dati dal MSI. Dal 1962 al 1968 fu presidente del gruppo dei deputati DC, nel periodo in cui venne varato il governo organico di centro sinistra, guidato da Moro. Dopo l’esito negativo del referendum sul divorzio del 1974 fu scelto come segretario della DC, prevalendo sul fanfaniano On. Forlani.
Dopo il 1976 si tentava un nuovo corso politico col confronto diretto con il PCI. Zaccagnini lo ritenne adeguato ad una fase di transizione
Tutti dovranno ricordare la delicatezza del momento politico che trova il culmine nel sequestro dell’On. Moro
Il momento emblematico, col vuoto dei 55 giorni della Repubblica. Che fare per liberare il presidente della DC?
Zaccagnini, come del resto Berlinguer, rifiutarono la politica della trattativa coi brigatisti rossi. Le lettere dalla prigionia di Moro pesarono come un macigno nell’animo mite di Zaccagnini.
Negli ultimi anni Zaccagnini sarà membro del Senato.
Mi hai chiesto dei ricordi?
Preferisco ricordare un incontro che ebbi con lui sull’Appenino romagnolo nell’agosto 1975. Mi accompagnava il prof. L. Pedrazzi e si voleva valutare con lui le concrete possibilità di sopravvivenza del quotidiano “Il Foglio” di Bologna e di Modena, nato sull’onda del nuovo emergente all’indomani del Concilio Vaticano e della nuova situazione internazionale.
Morì alcuni anni dopo, a Ravenna sua città di elezione, nel novembre 1989 a 77 anni.


Infine…

In appendice a quanto è stato pubblicato sul caso Dossetti dall’Archivio Corghi è affiorata una documentazione relativa alle lettere di dimissioni di Dossetti dal Parlamento. In particolare si pubblica una lettera di Dossetti inviata all’On. P. Bonomi, presidente nazionale dei Coltivatori diretti, del 21 marzo 1952, ed una rivolta ai parlamentari della corrente dossettiana del 10 luglio 1952.

Il 21 marzo 1952 Dossetti inviava la seguente lettera in carta intestata Università di Modena..
“Sono a letto da più di un mese, ma ho del tutto perduto di vista le vicende quotidiane. Specie negli ultimi giorni, favorendo un certo miglioramento, ho seguito i resoconti dei giornali e mi sono potuto render conto dell’eccezionale successo dei Coltivatori Diretti. Da vari partecipanti ho avuto conferma della importanza e del significato politico delle tue impostazioni, come dell’adesione plebiscitaria che esse hanno trovato. Permettimi di congratularmi vivamente con te. Io sono fuori da molte cose. Anche questa malattia ha contribuito a farmi riflettere, a farmi considerare molte buone ragioni che sempre più mi inducono a trarmi da parte e a lasciare un campo di attività che non è il mio. Ma proprio in questo nuovo e più deciso distacco, mi riesce più facile comprendere ed apprezzare il significato positivo e la portata di successi come quello da te conseguito. In un momento in cui nella vita italiana aumentano i fenomeni e le ragioni di disgregazione, consola vedere che vi è ancora qualche forza salda e organica. Questo pone su di te e sulla tua organizzazione una responsabilità sempre maggiore.”

Corghi ricorda che consegnandomi la lettera mi disse della necessità di enucleare in “Iniziativa democratica” le forze acliste disponibili nei coltivatori diretti e di mantenere il massimo contatto con i sindacalisti.

Il 10 luglio inviava agli amici parlamentari una lettera che confermava, senza alcuna incertezza, grato comunque per la discreta pressione compiuta dall’organo provinciale del partito:
“Ho scritto oggi al Presidente della Camera, inviandogli le mie dimissioni da deputato. Le ho motivate richiamando la mia totale assenza dai lavori parlamentari nell’ultimo semestre, da quando cioè una lunga malattia mi ha costretto al riposo e ha fortemente inciso sulle mie forze. Non potendo sperare in nessun modo su una maggiore partecipazione all’attività parlamentare nei prossimi mesi, debbo prevedere che non potrò dare la mia opera proprio nell’ultimo anno della legislatura che sarà certo il più faticoso e il più denso di lavoro. Ho chiesto al Presidente, come chiedo insistentemente a voi, che le mie dimissioni vengano comunicate e senz’altro poste alla Camera prima dell’imminente chiusura della tornata. Perché ho scelto questo momento? Perché sono convinto che questo momento di pausa e di calma politica (presumibilmente l’ultimo, prima delle elezioni) esclude e riduce al minimo la possibilità di arbitrarie connessioni tra la mia determinazione e qualsiasi specifico dibattito politico. Oggi non vi è nessuna questione in campo dalla quale si possa ricavare un significato polemico per le mie dimissioni. Alla ripresa autunnale non sarà più così.

Invece, provvedendo oggi, a molti mesi di distanza dal periodo critico, nell’ora più decisiva, la cosa avrà certo perduto ogni interesse e sarà anzi del tutto dimenticata. Così in favore della mia attuale risoluzione sta l’indilazionabile dovere di non restare come, altrimenti di certo dovrei, un deputato inadempiente, e insieme sta l’opportunità unica, non riproducibile, del momento. Se qualcuno di voi si preoccupasse troppo di eventuali ripercussioni, consideri che le vacanze imminenti provvederanno presto a soffiare e a disperdere ogni eco meno propizia. Se qualcun altro, come è possibile, non per merito mio ma per affetto troppo benevolo sentisse un rammarico più vivo e desiderasse fare tentativi di qualsiasi sorta i proporre dilazioni, consideri che così facendo non riuscirebbe a modificare in nulla il risultato finale e non gioverebbe né al bene comune né mio personale. Mai come in questo caso il rinvio, ormai a cose decise, sarebbe una pura perdita di tempo. Con l’augurio migliore per il vostro lavoro e nella ferma fedeltà alla sostanza perenne dei comuni ideali. Giuseppe Dossetti.

In questo riandare con la memoria agli anni della crisi del dossettismo e della formazione della corrente dorotea, il pensiero corre all’On. Rumor. Qual è la tua valutazione complessiva su questo personaggio con il quale poi ti sei scontrato nel ’68 al momento della rassegna delle tue dimissioni dal partito?

Corghi
: Vorrei intanto ricordare che nella terra di Zanella e del Fogazzaro, da una famiglia di grande influenza nella società cattolica di Vicenza, con la creazione di giornali e di banche, nacque 23 giorni dopo l’entrata in guerra, nel 1925 Mariano Rumor. Contemperò gli studi in lettere all’Università di Padova con la presidenza di un circolo giovanile di azione cattolica per poi avviarsi, dopo la fondazione delle ACLI vicentine, alla vita politica Costituente e poi alla Camera dei Deputati.
Fui molto amico di Mariano quando raggiunse la carica di vice segretario della DC e collaborai con lui alla crescita della corrente “Iniziativa democratica” nata nel castello di Rossena al termine della presenza politica di Dossetti. Condivisi con Rumor amicizie con amici di Vicenza e di Bassano come il sen. Valmarana, il sen. Oliva, l’avv. V. Veronese, l’avv. Pellizzari attuale presidente della Fondazione Rumor, il sen. Gatto, il sen. Merlin, Pier Francesco Porcacchia che fu capo dell’ufficio stampa di Rumor e con il quale condivisi l’esperienza della cooperativa internazionale “InterPress Service”.
Nel periodo della vice segreteria della DC venne a Reggio Emilia il 25 aprile 1956 per inaugurare con Fanfani la lapide ricordo dell’eccidio di Colombaia avvenuto un anno prima con l’uccisione di due democristiani ad opera di un iscritto al PCI. Nel ritorno Rumor sostò nella chiesa di La Vecchia per la deposizione di una lampada per la riconciliazione nazionale.
Rumor recava un nome che fu scelto da suo padre su proposta del cognato Piero Nardi critico letterario e studioso di Fogazzaro. Il nome era lo stesso del padre e del figlio di Fogazzaro. Era molto legato a Fogazzaro. Un giorno mi riferì che fu il deputato socialista Alberto Borciani di Reggio Emilia a difendere Fogazzaro a conservare il suo incarico nel Consiglio Superiore della P.I.
Quando morì De Gasperi fui con Rumor e gli altri esponenti della DC, sul treno speciale che trasportò da Trento a Roma la salma dello statista (agosto 1954). Rumor mi disse: “La commozione della gente che si accalca in tutte le stazioni e lungo la ferrovia come estremo omaggio al grande vecchio, la benedizione dei vescovi e dei sacerdoti, offrono a noi una forte meditazione sul potere come servizio e sulla morte del politico giusto. Questo viaggio è come un ritiro spirituale”. Effettivamente Rumor era un credente lontano da posizioni integralistiche e da intenti machiavellici.
Rimasi in amicizia malgrado le diverse posizioni anche dopo la rottura di iniziativa democratica e il suo ruolo di capo dei dorotei. Iniziò il viale del tramonto con lo spericolato movimentismo interno del rovigotto Toni Bisaglia per l’acquisizione di potere a danno di Rumor nella corrente e nell’elettorato e, nel 1976 con lo scandalo Lockheed (acquisto dagli Usa di 14 Hercules) cioè con una losca storia di mazzette. Dopo le mie dimissioni dalla DC non ho avuto più modo di incontrarlo. Dopo lo scandalo, fu scagionato ma a fatica otterrà l’elezione al Parlamento Europeo nel 1979, nonostante la sua dignitosa presidenza dell’Internazionale democristiana. Morì il 22 gennaio 1990.

Corghi ricorda infine che la giunta esecutiva del partito DC reggiano formulava all’unanimità un documento sulle dimissioni di Dossetti.
“Dopo aver preso atto delle lettere inviate dall’On. Dossetti al Presidente della Camera e al Gruppo parlamentare DC, l’esecutivo del partito ritiene suo preciso dovere, cosciente come è dell’indiscusso valore e dell’attività del parlamentare, di affidare al segretario provinciale il compito di un nuovo ed urgente tentativo onde impedire l’insistenza nelle dimissioni dopo il voto espresso dal Gruppo parlamentare e dall’Assemblea che le hanno respinte all’unanimità, il 12 c.m. La Giunta ben comprendendo l’enorme difficoltà di un simile tentativo, mentre si augura la piena riuscita, da mandato al segretario provinciale di rendersi interprete, nel caso di fallimento, dei sentimenti di gratitudine di tutto il partito per la generosa ed intelligente opera svolta dall’On. Dossetti a beneficio della DC in tempo clandestino e resistenziale ed oggi, sia pure in campo provinciale che nazionale, di rendersi interprete pure della viva sincera speranza di una sua futura collaborazione nell’immutata amicizia e nella ferma fedeltà ai comuni ideali”.

La missione di Corghi non ebbe esito positivo, anzi, Dossetti confessò la sua determinazione di abbandonare al più presto la provincia per iniziare una nuova vita di preghiera e di riflessione, in una borgata operaia di Bologna. (a.n.)
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