Sabato, 14 Luglio 2018 23:12

Le meravigliose visioni di Man Ray a San Gimignano

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Dopo la mostra di Man Ray alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea (GAMC) di San Gimignano, trasmettiamo il resoconto di Giuseppe Picone.

 

Le meravigliose visioni di Man Ray a San Gimignano 

Dopo la portentosa trilogia di grandi fotografi del Novecento (Elliott Erwitt, Robert Capa e Henry Cartier-Bresson), la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (GAMC) di San Gimignano propone per il 2018 una ricca antologica di Man Ray. E’ una proposta che al tempo stesso marca una continuità (una sorta di rassegna di protagonisti assoluti della fotografia del secolo scorso) ma anche una certa discontinuità. La contraddizione sta tutta dentro l’arte e lo sguardo di Man Ray.

Emmanuel Radnitzky, nome anagrafico del nostro, nasce nel 1890 a Filadelfia, lo stesso anno in cui a Auvers-sur-Oise Vincent Van Gogh muore suicida. La prima fase della sua vita è quella tipica di un rampollo della piccola borghesia ebraica americana di origine russa. Studi regolari, interessi artistici spiccati e frequentazione di ambienti progressisti. A New York, dove s’era stabilito nel 1913, c’è l’incontro con l’opera di Marcel Duchamp e Francis Picabia. Dipinge il suo primo quadro cubista: Ritratto di Alfred Stiegliz. Cambia nome: Da Emmanuel Radnitzky a Man Ray cioè uomo/raggio. Un nome nuovo per un programma di vita a cui si atterà fino all’ultimo, financo sull’epitaffio della sua tomba a Montparnasse (“Unconcerned, but not indifferent”: non curante ma non indifferente). Segue la seconda fase della sua vita sotto il segno del surrealismo, del dadaismo e delle sue inquietudini. L’epicentro della sua attività si sposta da New York a Parigi. A poco a poco esce fuori prepotente la predilezione per la fotografia, pur non rinnegando la pittura e il cinema. Anzi innestandovi robuste iniezioni di queste arti in una nuova arte fotografica che ribattezzerà Rayografia. Si ritorna quindi al “raggio”, alla idea opposta all’oggetto, al sogno opposto all’idea, alle visioni opposte alla natura. Per tornare alla discontinuità di cui prima: in Man Ray prevale prepotentemente l’ispirazione sulla informazione. Ed è questo tratto che lo differenzia dai nostri tre grandi fotografi che lo hanno preceduto negli anni passati ospiti della GAMC di San Gimignano. Farà di tutto in questa fase intensamente creativa: il ritrattista e il fotografo di moda, ma non disdegna neppure la foto pubblicitaria. L’assunto di partenza resta lo stesso: l’immagine è sempre e comunque un enigma. Lo sguardo dell’artista la fa sua attraverso un procedimento che attiene più al linguaggio dei sogni e dei simboli. L’artista reinventa tutto quello che si trova davanti. Da questa operazione nascono le “wonderful visions”. La meraviglia richiama l’emozione, la sorpresa, lo stupore. Il tutto è tradotto come in un sogno in spettacolari visioni.

La terza fase della sua vita riparte dall’America, costretto nel 1940 a ritornarci a causa della guerra e delle persecuzioni razziali. Ma da New York si sposterà quasi subito a Los Angeles. Ritornerà poi definitivamente a Parigi nel 1951 con significative puntate sulla Costa azzurra in quel torno di tempo vera e propria capitale dell’arte mondiale. È la fase della sistemazione della sua opera, di grandi mostre (una per tutte Le muse inquietanti. Maestri del surrealismo del 1967 presso la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino), di matrimoni. L’ultimo, quello più famoso del 1946 a Beverly Hills. È un doppio matrimonio: Man Ray e Juliet Browner (l’ultima musa “inquietante” dell’artista), Max Ernst e Dorothea Tanning. Fino all’ultimo estremo viaggio a Montparnasse nel 1976.

La mostra sangimignanese con un andamento cronologico segnato da circa 100 stazioni testimonia sapientemente il percorso che abbiamo cercato di delineare. Tralasciando le prime prove dell’artista comunque documentate, la nostra partenza ideale è il magnifico ritratto di Giorgio De Chirico del 1925. Notevoli pure gli autoritratti: dall’ “Autoportrait suicidaire” del 1929 all’”Autoportrait” sdoppiato del 1943. Non potevano mancare le muse ispiratrici. Anzi rappresentano il nerbo centrale dell’esposizione: da Kiki a Dora Maar, da Sonja a Lee Miller, da Tonya a Jacqueline Goddard. Al centro di tutte la conturbante bellezza di Juliet, alla quale la mostra dedica un apposito serto tratto da The Fifty Faces of Juliet, 1941-1954. Sono pure documentate le foto più sperimentali: le rayograph del 1923, 1925, 1927. Delle foto di moda, la nostra predilezione va alle cinque della serie “La mode au Congo”. Per un artista forgiatosi in ambienti surrealisti e dadaisti fortissimo fu il richiamo all’esotico e il tentativo di coniugarlo con i linguaggi artistici e sociali della cultura europea e occidentale.

Inoltre non potevano mancare le foto icona di Man Ray: Violon d’Ingres (il celebre fondo schiena della musa Kiki del 1094) e Noire et blanche del 1926. La nostra preferita.

Giuseppe Picone

 

Se vuoi, puoi scaricare la recensione in formato PDF.

 

Autoportrait (1943)

 

Violon d'Ingres (1924)

 

Noire et Blanche (1926)

 

 

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