Mercoledì, 30 Novembre 2016 07:32

Torino Film Festival 2016. Un resoconto

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Volendo dar conto di quanto visto a TFF34 conviene partire dalla fine. Vale a dire dalle premiazioni. Ci sono sembrate per lo più assennate. Qui di seguito puoi leggere l'intervento di Giuseppe Picone.

I premiati 

The Donor/Il donatore del cinese Qiwu Zhang è stato riconosciuto quale Miglior film della rassegna in concorso e al tempo stesso come Miglior sceneggiatura. Una sorta di colpo di fulmine deve aver investito i giurati. E il tono delle motivazioni lo confermano: “Siamo onorati di assegnare il premio a un film così meravigliosamente penetrante e così poetico nella narrazione, nella performance, nella comprensione del mondo in cui proviamo a vivere. Pensiamo di aver trovato una nuova voce del cinema cinese che ci arricchirà tutti. Grazie”. Questo per quanto riguarda il primo premio. Queste le motivazioni del premio per la sceneggiatura: “Forse saremmo stati influenzati dall’ambiente che ci circonda, ma la giuria è rimasta colpita da questo film duro ed emotivamente devastante, che mostra come la tradizione del Neorealismo italiano sia ancora viva in angoli remoti del globo”. Le sottolineature sono nostre. La storia del piccolo uomo Yang Ba che si arrabatta per far vivere decentemente la famiglia in un ambiente degradato e prossimo ad essere letteralmente raso al suolo, fino a vendere parte del suo corpo, è una critica spietata del capitalismo, anzi del capitalismo “comunista” con connotazioni larvatamente criminali. La storia non è nuovissima, ma il tocco è assolutamente originale. E’ la storia di un uomo sì piccolo ma di grandissima dignità. Questo uomo viene seguito passo passo. Un po’ alla maniera della caméra-stylo. Una camera che entra dentro l’uomo: nei suoi sentimenti, nella sua dirittura etica e morale.

Condivisibile il premio per la Miglior attrice a Rebecca Hall, interprete del film Christine dello statunitense Antonio Campos. E’ la drammatica vicenda del primo suicidio in diretta nella storia della televisione. Rebecca Hall ha saputo interpretare fino in fondo l’amarezza, il dolore e la disperazione della giornalista Christine Chubbuck.  Anche il Premio Fipresci assegnato a Les derniers parisiens dei francesi Hamè Bourokba Ekoué Labitey ci è sembrato giusto. A noi oltre che la storia e la perfetta ambientazione in una Pigalle territorio da sempre borderline, ci è piaciuta moltissimo la performance attoriale di Reda Kateb (Nasser) e Slimane Dazi (Arezki) nei panni dei due fratelli coltelli protagonisti del film.

Ci troviamo invece in disaccordo con il Premio Speciale della Giuria dato a Los decentes dell’austriaco Lukas Valenta Rinner. L’analisi in parallelo di due mondi confinanti e autoreferenziali fino all’autismo non ci sembra giustifichi il premio, senza contare il finale piuttosto ridicolo. Ancora più fantasioso il premio del pubblico a Wir sind die Flut  del tedesco Sebastian Hilger. Un film più che irrisolto, amorfo. Un po’ scienza, un po’ new age. Un po’ sociologia, un po’ fantascienza. La vicenda di due ricercatori alle prese con problemi di carriera universitaria e con improbabili misteri della natura (la scomparsa simultanea di un tratto di mare e di una colonia di bambini) non convince affatto seppur supportata dalla bella fotografia di Simon Vu.

 

Quelli più amati

Fra i 27 (sic!) film visionati in sei giorni abbiamo amato due docufilm inseriti nella sezione Festa Mobile. Innanzitutto Nome di battaglia donna di Daniele Segre. Il regista piemontese fa parlare otto magnifiche nonne partigiane. La nona è solo ricordata perché barbaramente trucidata dai nazifascisti. Meglio di qualsiasi nota critica sono le poche e asciutte ed essenziali parole del regista: «In un tempo di revisionismi, in cui le partigiane e i partigiani sono dimenticati o ricordati sullo stesso piano dei criminali e torturatori della X Mas, ho sentito la necessità di esplorare e raccontare il grande contributo che hanno dato alla liberazione dal nazifascismo. […] Il mio è un atto di gratitudine, e confido che il film porti a riflettere sulla nostra storia, offrendo una serie di ricordi e pensieri su cosa hanno rappresentato l’impegno e il sacrificio delle donne nella Resistenza». L’altro è: La felicità umana di Maurizio Zaccaro. Anche qui abbiamo un ben assemblato numero di interviste su un tema che da Epicuro in poi assilla (scusate l’ironia non voluta) il pensiero umano.

Altre due segnalazioni. Sempre da Festa mobile, Free State of Jones del californiano Gary Ross. Un film che rende conto di un episodio poco conosciuto della guerra di secessione americana. Un film che farà sicuramente strada non altro per la presenza come protagonista di un bravissimo Matthew McConaughey. Dalla immaginifica sezione After Hours, curata con la consueta maestria dalla direttrice del festival Emanuela Martini, Safe Neighborhood del canadese Chris Peckover. Un thriller che ha per protagonisti due ragazzini e una adolescente. Un piccolo capolavoro che miscela con sapienza i generi  condendoli con  ironia e maestria.

 

E la religione?

Dal piccolo campione visionato (27 su 213 pellicole in programma) solo due ne parlano esplicitamente: Le fils de Joseph del newyorchese parigino Eugène Green. Anche se della religione  ne parla attraverso il recupero di grandi opere pittoriche: Il sacrificio di Isacco di Caravaggio, il Giuseppe  falegname di George de La Tour e il Cristo morto di  Philippe de Champaigne. In realtà al regista interessa di più un approccio mitico alla realtà che gli possa permettere di mostrarne la poliedricità e l’essenza multiforme. Siamo quindi molto lontani dalla uniformità dogmatica delle religioni monoteistiche.

Anche in  Eshtebak/Clash dell’egiziano Mohamed Diab è fragorosamente presente la religione. Siamo al Cairo nei giorni più bollenti dopo il colpo di stato militare che aveva rovesciato il governo del  leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi : un furgone della polizia che trasporta manifestanti di fazioni politiche e religiose avverse vaga tra le violente proteste. I detenuti riusciranno a superare le loro divergenze per riuscire a sopravvivere? Domanda tragicamente retorica.

 

Giuseppe Picone

29 novembre 2016

 

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